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ivanov

romussi
 
 
Nel III Atto lo affronta, rinfacciandogli il tradimento (Didone) e la propria dedizione (Medea), ma, quando lui, cattivissimo, le urla che il medico ha rivelato che è ormai prossima alla morte, chiede soltanto, con dolcezza, sgomento e vera necessità: “Quando l'ha detto?” ed è una donna nel tempo, nella vita.L'Ivanov di Filippo Dini è sì un inetto, tormentato tormentator di sé stesso, annoiato, al tempo stesso puerile e vecchio, ma di tutto ha acuta consapevolezza e quasi regia (e Dini, in effetti, è anche il regista): alla fine, quando il frastuono che egli sente nella sua testa si fa talmente forte da superare la voce degli altri personaggi, ci chiediamo se tutto quello cui abbiamo assistito non si stato altro che il teatro di Ivanov, quello che lui ha allestito nel suo cervello.

Infine, le parole, le parole precise, liricamente esatte di un Cechov giovanissimo e perfetto, nella traduzione magistrale di Danilo Macrì, che, lasciatemi fare la Prof. di latino e greco, è riuscito a rispondere a tre esigenze che si parano sempre davanti al traduttore di lingue lontane nel tempo e nello spazio: far sentire la bellezza di questa lontananza, mantenere la poesia e rendere tutto dicibile

sotto questo cielo di what'sapp.

Un grande spettacolo, insomma.

E quando mi volto a guardare gli studenti, vedo i loro occhi lucenti. Missione compiuta.