ivanov
Laura Benzi
luci
Pasquale Mari
produzione
Fondazione Teatro Due in coproduzione con Teatro Stabile di Genova
Nel caso di Ivanov il lavoro di Laura Benzi (scene e costumi) e Pasquale Mari (luci) crea la suggestione di uno spazio perfettamente autonomo, senza però far dimenticare che è uno spazio vero, concreto, “da toccare”, lo stesso in cui siamo immersi noi, come suggerisce il fatto che, entrati in sala, troviamo Ivanov già in scena, curvo su un libro che evidentemente lo annoia, ma talmente preso da sé stesso da non notarci neanche, e le luci in sala restano accese per buona parte del primo atto. Insomma, il teatro batte il cinema, dai, lo si vede: basterebbero i lampadari che calano dall'alto con un piccolo saltino o la betulla bianca, o il cambio scena con gli attori che spostano e sistemano le cose, per commuovere anche il più incallito fruitore di immagini virtuali.
Le scene e le luci chiariscono la posizione esistenziale dei protagonisti (lo spazio della casa di Ivanov e di sua moglie Anna Petrovna è angusto anche quando è un giardino, pieno di spigoli e con pareti che si stringono, perché Ivanov si sente in prigione e Anna, malata di tisi, non può uscire) e sottolineano i rapporti fra i personaggi: sulla scena gli attori si muovono disegnando traiettorie che quando si incontrano cozzano per farli rimbalzare lontano, in una sorta di partita di biliardo che lo spazio improvvisamente vuoto e metafisico dell'ultimo atto rende ancora più decisiva. Soltanto in una scena Ivanov e Anna si toccano e stringono lungamente, sulla stessa mattonella nell'ultimo abbraccio, in un lento suggello della storia d'amore che, a mio parere, è questo dramma di Cechov.