Grasse risate, lacrime magre!
La sensazione più forte, che sorpassa l'elemento comico e si deposita anche dopo, quando esci dall'Elfo ed entri in metropolitana, è proprio l'immedesimarsi in quest'amore tormentato ed infedele che è la vita del teatrante, e penso a come ha sempre tirato avanti questo mestiere più antico del mondo, ai guitti che venivano perseguitati da Federigo Borromeo ed associati al diavolo perché come lui portavano una maschera e facevano girar balle, ai commedianti che non potevano esser battezzati e colavano a picco nel fango dei loro carrozzoni coi cavalli che si azzoppavano, ai cabaret clandestini allestiti nei campi di concentramento, a tutte le censure, i soffocamenti, le crisi economiche che il teatro ha subito nel corso del tempo.
Eppure a tutto ciò ha resistito fino ad oggi, nell'uomo, quella viscerale, umanissima urgenza di saltar su un banco e raccontare storie.Questo è ciò che “Grasse risate, lacrime magre” restituisce più di tutto, e mentre rido guardando Paolo, nella scena in cui non riesce a superare lo sfrigolante Stargate della quarta parete perché proprio non può, non può smettere di fare l'attore mi ritrovo decisamente commossa, e penso che Anton aveva davvero ragione, l'essenziale è saper resistere. E loro due hanno resistito proprio bene.