figli senza volto
“Se hai finito c’è del prosciutto”, che è un modo per dire “Stupida, che domanda scema, sono allibita che tu, proprio la mia bambina, sangue del mio sangue, non capisca che una promessa fatta a una persona che ha fatto i conti con la Storia si mantiene, al di là di tutti i rapporti madre-figlia del mondo, finiamola qui, ok?”.
La scuola di teatro l’ho fatta veramente e di libri sul terrorismo ne ho letti parecchi. Forse anche per questo, stasera, mi ritrovo a mettere insieme due pezzi del puzzle e vado a vedere al Crt Figli senza volto. Racconta di una donna che, sdraiata sul tappeto di pelo del suo piccolo appartamento, dà voce alla solitudine di una scelta che l’ha portata a saper maneggiare oltre al ferro da stiro, la pistola.
Ma non volevo raccontarvi lo spettacolo. Perché adesso che sono cresciuta, più che i significati concentrati, della vita amo le sbavature e i particolari inessenziali, che stanno al di qua della scena. “Merda, ho detto compagno invece che marito”. “Si è bloccato il video e allora ho dovuto fare un casino per farlo ripartire. Ma non si è capito, vero?” “C’è una puzza di fumo, qua dentro!” “Che finezza, avete anche scelto le sigarette giuste…” “Le Muratti, hai visto?” “Scusa, ti ho bloccata con le foto, perché si vedeva il monitor azzurro della macchina”. “A me piacciono le Muratti”. “Marito, marito, devo ricordarmelo, cazzo”. “Vuoi una Muratti”? “Se ne sono andati, i pompieri?”