Tropicana
raccontato da
Stefano Paolo Giussani
Irene Lamponi
Elena Callegari
Cristina Cavalli
Irene Lamponi
Marco Rizzo
regia
Andrea Collavino
scene
Ruben Esposito
costumi
Daniela De Blasio
«Io sono il tuo personaggio!»
All’esterno del teatro, sul marciapiede, un avanzo del pubblico tira tardi. All’uscita degli attori, la voce è spontanea e li investe dalla mano tesa che punta a chi interpreta Meda, la vicina che bestemmia ma che se può si fa in quattro per aiutarti. Poi a seguire altre voci.
«Io sono Lucia».
«Sono salito da Roma e sono venuto a vedervi».
Tropicana è la fotografia di un disastro. Esattamente perché noi tutti siamo un disastro. Viviamo esistenze condominiali in attesa che qualcosa succeda, aspettando che sia l’occasione della nostra vita a telefonarci. È una lucida cronaca dove ognuno ha i suoi problemi e tende a coesistere con essi, quasi crogiolandoci in loro. Una donna fallita come moglie – Lucia - ma che si aggrappa all’essere madre, la figlia – Tenera – che assorbe e prova a disperdere la negatività, salvo poi accusare la madre di essere in vita solo perché lei stessa è in vita. Poi c’è Meda, il personaggio meglio riuscito, la vicina che non le manda a dire con un linguaggio colorito che spacca sul pubblico come un urlo di disperazione con in sottofondo la voce di Papa Francesco. L’originale, portato in scena, e questo è già un primato.
In tutto questo sciame sismico della quotidianità c’è un elemento di rottura, buono e bello. E’ Leonardo, amico-ragazzo-confidente di Tenera, la figlia. Il ragazzo è uno scoglio. Nella sua disarmante semplicità, è quello a cui tutte gli squinternati vorrebbero appendersi.