Collaborators
Erika Carretta
Fabrizio Visconti
musiche originali
Di ambientazioni appena evocate (una credenza-stanza, un letto-mondo, una tela cerata-inferno) che dilatano lo spazio, di dialoghi incredibili che fanno ridere-piangere-arrabbiare-paura, di attori bravissimi che sembrano rendersi conto dell’incredibile mondo che stanno creando e danno tutti il meglio. E di storia, una storia così vera e vicina e terribile da sembrare un racconto inventato per spaventare i bambini, e invece.
Esco dal teatro dopo un’ora, tre ore, sessant’anni, non lo so neanch’io. “BELLO” penso, con gli occhi a cuore come un manga giapponese (Perdonate la licenza, ma in un discorso che va da Stalin a Trainspotting possono benissimo entrare anche i manga). E, mentre aspetto di andare a casa, tiro fuori il cellulare e scrivo ai miei amici: “Cazzo andate subito a vedere Collaborators ai Filodrammatici, è fighissimo!”. Frase che poi, nella sua povertà lessicale, potrebbe benissimo prestarsi a diventare la più immediata, istintiva recensione per uno spettacolo che per me, in questa stagione 2016-’17, potrebbe tranquillamente aspirare a diventare LO spettacolo dell’anno.