a parole
Debora Virello
Susanna Baccari
produzione
Quelli di Grock
costumi/scenografia
Maria Chiara Vitali
musica
Gipo Gurrado
luci
Monica Gorla
Chiudi gli occhi, li riapri. Punti l’orizzonte ma sei sempre qui, intrappolato in una stanza senza porte.
Lo spettacolo inizia prima che le luci vengano meno, una figura umana dorme sulle tavole del palco infagottata in un cappotto smisurato, e poi, tempo un respiro, sei risucchiato dalle parole che la brava Debora Virello inanella in un monologo ipnotico che scivola via in un soffio: la storia di Maria Estela MartÍnez Cartas (nota come Isabelita), terza moglie di Juan Domingo Peron, una donna che non riuscirà mai a occupare il posto che brama, oscurata dall'ombra di Evita, che prima di lei aveva scaldato il letto del presidente argentino: a Eva la fama e l'amore del popolo, a Maria Estela un perenne ruolo da comprimaria, anche quando, dopo la morte del marito nel 1974, gli succede alla presidenza del paese.
Finalmente è dove Evita non è mai arrivata, ma anche qui l’illusione dura poco, perché due anni dopo viene deposta dal golpe militare di Videla. Più che sul personaggio storico – che andrebbe comunque contestualizzato e analizzato: Isabelita oggi vive in Spagna, e su di lei qualche anno fa il governo argentino ha avanzato una richiesta di estradizione: durante la sua presidenza gli oppositori di sinistra vennero duramente perseguitati – l’opera teatrale scandaglia la vicenda di una donna schiava di ossessioni da cui non riesce a liberarsi e che, giorno dopo giorno, la trascinano verso il fondo.