Homicide House
raccontato
da Piero Colaprico
Luca Cattani
Cecilia Di Donato
Marco Maccieri
Valeria Perdonò
regia
Marco Maccieri
scene
Antonio Panzuto
costumi
Francesca Dell'Orto
produzione
BAM Teatro/MaMiMò
Di mariti che nascondono alle moglie il dissesto aziendale sono piene le cronache, così come di mogli sempre stupite di quanto hanno sotto gli occhi, se li aprissero. In Homicide House, però, questa incomunicabilità trova una soluzione acida: il marito, che è nelle mani dell’usuraio, mette a disposizione il suo corpo.
Qui sta la forza e la debolezza del testo di Emanuele Aldrovandi, premio Tondelli 2013. I cattivi, quelli veri, non arretrano e non si fanno fregare. Castigano gli ottusi. Portano ogni azione criminale sino in fondo in cambio del loro interesse, che sia il sesso, che sia il soldo. Non sbagliano né con l’amore né con la fiducia né con il mirino. Inoltre, amano vivere a dispetto di qualsiasi vittima: la loro sarà una vita di merda, ma è la Vita: e scorre con un prepotente istinto di autoconservazione.
Perciò, come accade non raramente in Italia, si può giocare tra vero e falso, tra apparenza e sostanza, si possono scatenare dialoghi interessanti e battute che rallegrano cupamente, insomma si può mostrare il proprio talento e goderne, è il finale però che «non chiude»: certo, prima di arrivarci si ride, si riflette, ci si angoscia, si applaude. Anche al tema dell’amore visto da un autore trentenne: ha dalla sua una grande forza, quella dell’ingenuità, e della speranza che ogni storia cambi in meglio. La cattiva Valeria Perdonò spicca: stella noir.