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Gli angeli dello sterminio

bertante raccontato da
Alessandro Bertante
 
di
Giovanni Testori
 
con
Ruggero Dondi
Liliana Benini
Emanuele Turetta

regia
Renzo Martinelli

dramaturg
Francesca Garolla
Renzo Martinelli

luci
Mattia De Pace

suono
Fabio Cinicola

produzione
Teatro-i
 
 
Sono seduto a pochi a metri dagli attori, figure bianche fuggenti da umanità disperata, giovani e vecchi, fantasmi o allucinazioni, mossi come in un carosello tachicardico di nevrosi e sconfitte. Questo è l’ultimo Testori, rivoltoso e disperato. Testori alla affannosa ricerca della sua città, come sempre, fino alla fine. Testori guarda Milano, che non guarda più lui.

Renzo Martinelli porta in scena al Teatro I Gli angeli dello sterminio, l’ultimo romanzo di Giovanni Testori. E lo fa con sguardo filologico e intransigente, dando vita a una rappresentazione dell’Apocalisse di grande impatto emotivo. Seduto di fronte agli attori che s’inseguono nella scarna quanto efficace scenografia, penso che il destino della mia città sia oramai un percorso condiviso, come se già nel 1992, anno di pubblicazione del romanzo, si fosse aperta una strada senza ritorno. Poco tempo prima erano gli anni Ottanta, quando il cambiamento, la partecipazione, le promesse di prosperità, la velocità e i fremiti di modernità apparivano autentici, comunque proiettati verso un futuro radioso. Dietro la facciata garrula però c’era l’eroina, le morti giovani, le esistenze liminari, il nuovo mondo televisivo, la demenza collettiva, l’alienazione e l’emarginazione di massa.

Testori l’aveva già visto, forse unico fra i suoi contemporanei, distratti dallo sberluccicare del disimpegno. Questa è l’Apocalisse adesso, questo è presente allucinato di Testori diventato futuro per tutti. Non esiste più un senso comune, nessuna ricerca di significato, non c’è un passato radioso a cui fare riferimento, negli Angeli dello Sterminio non c’è nessuna possibilità di riscatto. Eppure esplode la rivolta, la rivolta come sentimento finale, la rivolta straziante e disperata, la rivolta per i figli, per immaginare un futuro qualsiasi, la rivolta che dilaga ovunque, accendendo la fiamma di una nuova speranza. Ancora una volta.

Sono seduto a pochi a metri dagli attori, figure bianche fuggenti da umanità disperata, giovani e vecchi, fantasmi o allucinazioni, mossi come in un carosello tachicardico di nevrosi e sconfitte. Questo è l’ultimo Testori, rivoltoso e disperato. Testori alla affannosa ricerca della sua città, come sempre, fino alla fine. Testori guarda Milano, che non guarda più lui. Renzo Martinelli porta in scena al Teatro I Gli angeli dello sterminio, l’ultimo romanzo di Giovanni Testori. E lo fa con sguardo filologico e intransigente, dando vita a una rappresentazione dell’Apocalisse di grande impatto emotivo. Seduto di fronte agli attori che s’inseguono nella scarna quanto efficace scenografia, penso che il destino della mia città sia oramai un percorso condiviso, come se già nel 1992, anno di pubblicazione del romanzo, si fosse aperta una strada senza ritorno. Poco tempo prima erano gli anni Ottanta, quando il cambiamento, la partecipazione, le promesse di prosperità, la velocità e i fremiti di modernità apparivano autentici, comunque proiettati verso un futuro radioso. Dietro la facciata garrula però c’era l’eroina, le morti giovani, le esistenze liminari, il nuovo mondo televisivo, la demenza collettiva, l’alienazione e l’emarginazione di massa. Testori l’aveva già visto, forse unico fra i suoi contemporanei, distratti dallo sberluccicare del disimpegno. Questa è l’Apocalisse adesso, questo è presente allucinato di Testori diventato futuro per tutti. Non esiste più un senso comune, nessuna ricerca di significato, non c’è un passato radioso a cui fare riferimento, negli Angeli dello Sterminio non c’è nessuna possibilità di riscatto. Eppure esplode la rivolta, la rivolta come sentimento finale, la rivolta straziante e disperata, la rivolta per i figli, per immaginare un futuro qualsiasi, la rivolta che dilaga ovunque, accendendo la fiamma di una nuova speranza. Ancora una volta.